Ci siamo rassegnati a un mondo dominato dal senso di incertezza e di spaesamento? Quel senso di incertezza che viene dal trionfo dell’economia finanziaria e dall’impotenza degli stati nazionali ad affrontare non solo la dittatura delle Borse ma anche l’effetto serra, la delocalizzazione dei posti di lavoro, le incertezze della vecchiaia. È la sensazione, come ha scritto Marc Augé, che “non ci sia futuro”.

Se ieri i cittadini traevano un senso di sicurezza e di stabilità dall’esistenza dello Stato, con le sue articolazioni di sistemi postali, pensionistici e di trasporto, oggi gli stessi leader politici ci dicono che ogni mese dobbiamo attenderci cambiamenti epocali, che tutto deve cambiare da un momento all’altro: il nostro lavoro, i nostri diritti, le nostre aspettative. Ha forse ragione dunque l’utente di Salaborsa, la biblioteca bolognese di cui si festeggiano i dieci anni di vita, quando scrive: “Mi piace pensare che così finiranno tutte le Borse del mondo e che, allora sì, governeranno il mondo per il bene di tutti”. Difficile sintetizzare meglio lo spirito dei nostri tempi: il senso di spaesamento, inquietudine e angoscia che le Borse con la “b” maiuscola spargono attorno a sé. Pochi ricordano che le Borse non sono come l’acqua e l’aria: se ne può fare a meno, come in effetti avvenne in passato durante la prima guerra mondiale. Vivremmo forse tutti più tranquilli se la Borsa di Milano fosse trasformata in Biblioteca di Milano, se il New York Stock Exchange diventasse la Wall Street Public Library e il London Stock Exchange diventasse un London Idea Store, magari diretto dall’amico Sergio Dogliani.

I nostri politici sottovalutano l’attaccamento popolare alle certezze della vita quotidiana, sia pure la semplice visita del postino o l’esistenza della biblioteca, ma gli utenti di Salaborsa ce lo ricordano: un gruppo di anziani scrive che qui ci si “sente liberi”, una mamma aggiunge che “è un bel posto per dedicarsi alla lettura ma anche perchè c’è lo spazio bambini così quando non sai dove portare il tuo bambino lo puoi portare qui”. La piccola Asia ci dice che “Salaborsa mi piace moltissimo perchè si gioca e si possono leggere i libri in tranquillità”.

C’è il bolognese doc che tiene a esprimersi in dialetto: “Perchè la sela bursa l’è al sit piò bel dal zenter ad Bulaggna, ai è un mocch ad zent, ad leber, e po’ c’è cheld!” e l’inglese che sottolinea: “I love the ruins that are visible through the floor. It’s great for studying and relaxing. Il caffè è bene”. E c’è addirittura chi scrive che “sembra di stare alle Terme”. Con Salaborsa i cittadini bolognesi hanno metabolizzato l’idea di piazza del sapere come luogo indispensabile, come parte essenziale della qualità della vita in città: come scrive Dino, “perchè anche a 81 anni mantiene sani e vivi. E poi ci sono sempre le novità: poche, ora, ma buone”.

Dieci anni fa nessuno poteva immaginarlo ma oggi la biblioteca è diventata, come dice Marianella Sclavi, “un luogo che aumenta l’intelligenza individuale e collettiva”. Sala Borsa non solo ha capito i tempi in cui viviamo ma è stata capace di anticiparli, con una sorta di messaggio implicito lanciato dai cittadini: possiamo sopravvivere a un mondo impazzito solo stando insieme. Insieme fisicamente: c’è un mocch ad zent, cioè “un mucchio di gente” e, come scrive un altro utente, c’è “una fantastica varietà di tipi umani!!”.

Insieme, soprattutto, dal punto di vista culturale: la biblioteca è il luogo dove si trovano quotidiani e riviste, i libri di Munari ma anche quelli di Stephen King, i film di Losey e il jazz, i giochi per i più piccoli e la Divina Commedia. E gli utenti non hanno dubbi su quale sia il valore aggiunto del luogo: “amiamo la Salaborsa perchè ci prestate i libri e finiremmo sul lastrico se dovessimo comprare tutti quelli che ci piacciono”.

In Salaborsa passano, ammirati, i turisti ma anche molte persone che hanno perso (o non hanno mai avuto) una casa: la biblioteca è diventata doppiamente importante per loro: “perchè io barbone quando piove o fa freddo ho un riparo ma soprattutto perchè posso acculturarmi, che non è poco”. Emerge così una città consapevole della straordinarietà di questo luogo sicuro, accogliente, generoso con tutti. Un luogo che urbanisti, architetti, sociologi, esperti di Welfare dovrebbero studiare perché unico in Italia.