Il sorprendente cambio dell’esecutivo nel nostro Paese potrebbe avere conseguenze rilevanti non solo sul governo dell’Italia ma anche su quello dell’Unione europea. Negli ultimi tempi la nostra attenzione è stata catalizzata dalle tristissime vicende di casa nostra. Ma alzando solo un po’ lo sguardo ci si sarebbe potuti rendere agevolmente conto che anche l’Unione non se la passava poi troppo bene. L’opinione pubblica è da mesi tempestata di comunicati che annunciano nuovi piani, o modifiche dei piani precedenti; salvo poi, a distanza di pochi giorni o di poche ore, ritrovarsi con gli stessi problemi e le stesse incertezze di prima. Al di là dei complicatissimi aspetti tecnici delle vicende europee, fra la Banca centrale e il fondo di stabilizzazione, un punto emerge chiaro. Vi è un grande deficit di iniziativa politica. Le attuali istituzioni e le attuali politiche comunitarie non sono in grado di reggere l’urto di una crisi internazionale forte come quella attuale. Il rischio, purtroppo evidente, è di scivolare indietro: mettere a rischio non solo la moneta ma decenni di integrazione. Serve un deciso passo in avanti: mettere la enorme forza finanziaria di tutti gli stati membri a garanzia di un processo di stabilizzazione dei flussi finanziari, di risanamento dei conti pubblici, di rilancio progressivo dello sviluppo. Eccoci al punto. Le attuali leadership di Francia e Germania non hanno avuto finora la capacità politica di disegnare un processo simile. Questo non è il giudizio di qualche estremista o di qualche inguaribile euro-fanatico, ma del “Financial Times”: si è fatto “troppo poco, troppo tardi”. Il contributo che l’Italia ha finora fornito al disegno e alla attuazione di un piano di vera stabilizzazione è stato finora nullo. Il che ci ricorda, fra l’altro, come il nostro Paese, così dileggiato negli ultimi tempi, sia sempre stato e sia ancora un partner fondamentale della costruzione europea. Anzi, le poche iniziative prese negli ultimi mesi, sono state negative: come l’improvvida sottoscrizione da parte del governo Berlusconi – con cui si è operato uno strappo con la tradizionale posizione dell’Italia – della lettera con cui si chiede una riduzione del bilancio comunitario.

La speranza è che ora Monti arrivi anche in Europa. Che il nostro nuovo governo sia cioè capace di spingere per un’iniziativa comunitaria all’altezza della difficilissima situazione internazionale. Missione  ardua, ma forse non impossibile. Per cui abbiamo gli uomini adatti. Non solo il nuovo premier, autore l’anno scorso di quel “Rapporto” alla Commissione che disegnava con precisione le mosse da prendere per il rilancio dell’”economia sociale di mercato” continentale: più mercato, più politiche, più coesione; ma anche del ministro Fabrizio Barca, autore anch’egli di un importante “Rapporto” sulle linee di riforma della più importante politica europea per lo sviluppo che oggi esiste, quella di coesione.

Insomma, il vuoto di politica non è caratteristica solo del nostro Paese. Forse ancor più grave è quello che continua ad esserci a scala comunitaria. Per questo, su “super-Mario” e sui suoi collaboratori gravano responsabilità pesanti come macigni:  rimettere in ordine le politiche economiche in Italia, rilanciare il nostro ruolo in Europa, contribuire a soluzioni che non durino lo spazio di un mattino. L’unica consolazione è che fare un passo avanti su ognuno di questi obiettivi rende un po’ meno difficile raggiungere gli altri. Per il resto, non possiamo che augurare al nuovo Primo ministro incontri europei assai fruttuosi questa settimana: per lui, e anche per noi.